lunedì 13 febbraio 2012

L'opera di Gaudì a Barcellona





   L'immagine attuale di Barcellona è legata a quella dell'Ensanche (Eixample in catalano), quel radicale esempio di progettazione urbanistica globale che consiste in un reticolo di isolati quadrati regolari di 114 m. di lato destinati a residenze e a strutture di servizio, intersecati da strade larghe 20 m. con l’unica eccezione di due grandi arterie trasversali. Nella prima metà dell'Ottocento Barcellona era ancora rinserrata nell'esagono irregolare delle mura medievali. Solo nel 1859, il Governo centrale decise di avviare il piano dell'ingegnere Ildefons Cerdà (1815-76).
Il piano Cerdà
L'Ensanche fu dunque l'espressione più piena della Renaixença ottocentesca della città, venendo a coincidere con il fiorire del Movimento Modernista. Questo movimento catalano, sviluppatosi parallelamente ad un risveglio economico e politico della Spagna che iniziò verso la metà del secolo, in parallelo alle Arts and Crafts inglesi, propone un ritorno alle forme e alle tecniche medievali, viste come espressione più genuina della tradizione popolare spagnola.
L'architetto Antoni Gaudí y Cornet (Reus, Spagna, 1852 - Barcellona, Spagna, 1926) è certamente il suo maggiore esponente. Discendente da una famiglia di artigiani, considerava fondamentale la sua ascendenza familiare da calderai dalla quale diceva derivava la sua spiccata capacità di immaginare i corpi direttamente nello spazio e di risolvere i problemi senza bisogno della rappresentazione grafica bidimensionale. Studia architettura a Madrid, interessandosi in particolare agli studi sul gotico dell’architetto francese Eugène Viollet-le-Duc e attraverso questo interesse si avvicina al modernismo.
Terminati nel 1878 gli studi, protetto dal conte Güell, uno dei maggiori industriali catalani, ammiratore di Ruskin e Otto Wagner, Gaudí costruisce le sue prime opere in stile eclettico, mescolando forme del passato a ardite sperimentazioni di nuovi materiali. Di questo periodo è la casa di villeggiatura costruita per Manuel Vicens, commerciante di piastrelle. Con questa casa inizia il Modernismo e la lista di una lunga serie di edifici e progetti in cui Gaudì, ispirandosi all'architettura araba e specialmente a quella più tipicamente spagnola detta Mudejar, farà un primo tentativo per allontanarsi dall'eclettismo architettonico.
Casa Vicens
Nella Casa Vicens (1883-1888), rivestita quasi per intero di mattonelle di ceramica, è già rilevabile la rottura con le forme cubiche tradizionali, l'assunzione di strutture decisamente innovative e il ricorso a motivi della natura (ad esempio la cancellata in ghisa del giardino), elementi che mostrano chiaramente il percorso artistico che l'artista avrebbe seguito negli anni a venire.
Nel 1886 riceve l'incarico di progettare il Palazzo Güell (Barcellona, 1886-89), realizzato con la collaborazione di esperti artigiani locali. In esso ad una pur dominante geometricità si oppone il prospetto asimmetrico e le soluzioni adottate nello scantinato, quasi una cripta scandita da tozzi pilastri circolari di mattoni, e nel tetto arricchito da pinnacoli-camini e dal tiburio conico, copertura del cortile interno. Per la prima volta è utilizzata la tecnica del «trencadís» che consiste nel ricoprire le superfici con frammenti di ceramica variopinti, a cui si farà poi largamente ricorso nel modernismo. Nelle opere della maturità l’architetto abbandona ogni reminiscenza del passato e ogni regola costruttiva tradizionale per elaborare un linguaggio personale, dalla prepotente libertà compositiva e decorativa. La sua idea dello spazio è fluida, dinamica, in espansione continua, vitalistica e spontanea. Ispirandosi alle forme della natura e recuperando alcuni degli elementi stilistici del Gotico catalano, crea una originale fusione che mira al tentativo di cogliere e riprodurre tutte queste componenti nelle sue costruzioni senza dubbio rivoluzionarie. Sono tipiche della sua opera le forme sempre dinamicamente arrotondate, sviluppate quasi organicamente, che nella loro naturalezza segnano già la via verso lo stile astratto. Tra le più importanti realizzazioni, tutte a Barcellona, sono il parco Güell, Casa Batlló, Casa Milà e la Sagrada Familia, la chiesa cui Gaudí lavora per tutta la vita.
Parco Güell
Il Parco Güell viene fatto costruire dall’industriale e mecenate Eusebio Güell a partire dal 1900 sull'esempio delle città-giardino inglesi, come parte di un sobborgo residenziale, mai realizzato e poi diventato parco pubblico. Scavato nel terreno della Montagna Pelada che sovrasta Barcellona, il parco presenta una successione inesauribile di invenzioni formali, spaziali e coloristiche, in dialogo con la montagna.
È un mondo favoloso costituito da padiglioni, scalinate, portici, grotte, fontane, pergolati, parapetti e camminamenti di pietra grezza incrostata di maiolica policroma. Elemento decorativo ricorrente è l’astratta e libera policromia del «trencadís», fatta accostando tanti pezzi di porcellane rotte. Esempio di grande libertà creativa, il parco esprime la poetica del grande catalano, che concepisce l’architettura in simbiosi con la natura.
Casa Batllò
La ristrutturazione condotta nel quartiere Ensanche di Barcellona da Antoni Gaudí della Casa della famiglia della borghesia catalana Batlló, che operava nel campo della manifattura dei tessuti, trasforma l’edificio in una sorta di immensa forma organica. Battezzata popolarmente «casa delle ossa», la Casa Batlló (1904-1906) si inserisce nella città come un’apparizione fossile, primordiale. La parte inferiore dell’edificio, e così pure i balconi, evocano infatti parti di uno scheletro, le grandi ossa di un animale preistorico. La facciata è ricoperta di un mosaico di pasta vitrea dalle accese valenze coloristiche, costellato da duecento dischi multicolori di diverso diametro. Il tetto, dalla linea ondulata e mossa, è in maiolica lavorata a squame colorate, quasi il corpo di un drago. In esso si evidenziano le teorie di Gaudì in relazione alle coperture degli edifici. Sosteneva infatti che le case devono avere una doppia copertura e che quella più esterna deve essere costituita da un materiale differente e più elastico, in grado di assorbire le deformazioni prodotte dalle variazioni di temperatura.
La Pedrera
La Casa Milà (1906-1910), detta anche la Pedrera (la «cava di pietra»), è un edificio residenziale alto borghese situato nel centro di Barcellona. Nella sua realizzazione Antoni Gaudí rifiuta ogni schema compositivo tradizionale creando una grande massa vibrante dove non esistono angoli retti, ma solo profili ondosi e fluttuanti. Il progetto è un’esplorazione sulle possibilità della materia, lavorata e presentata come tale, senza decorazioni cromatiche. Dice infatti Gaudí: «Le grandi masse sono sempre in se stesse un elemento dell’ornamento elevato».
L’aspetto è quello di un'immensa parete rocciosa, lavorata dal tempo e dall’uomo. I celebri comignoli sono stravaganti protuberanze, di vario disegno, decorate da mosaici. Omaggio al popolo catalano dalla storia millenaria, la Casa Milà avrebbe dovuto essere anche un monumento alla Vergine del Rosario, la cui grande statua doveva essere posta a coronamento dell’edificio. Ciò non avvenne a causa dei moti anticlericali avvenuti in Spagna nel 1909, che spaventarono i committenti. Gaudí considerò sempre la Casa Milà un corpo senza testa.
Sagrada Familia
La costruzione a Barcellona della chiesa dedicata alla Sagrada Familia viene affidata all’architetto nel 1883. L’opera lo accompagna tutta la vita e ad essa l'artista lavora ininterrottamente dal 1911 fino alla morte rifiutando qualunque altra commissione. Non viene ultimata anche perché l’architetto spagnolo ritiene che la costruzione debba richiedere l’impegno corale di più generazioni, come avveniva nelle grandi cattedrali gotiche.
Nella cripta e nell’abside c’è il riferimento a modelli gotici, stile ideale cui guardano il giovane Gaudí e gli altri architetti della «Renaixença» catalana. Successivamente il progetto si arricchisce di spettacolari e visionarie invenzioni.
La facciata viene realizzata senza basamento, sembra quasi essere scolpita nella roccia. L'uso delle forme e dei materiali vuole rappresentare l'evoluzione della storia delle costruzioni umane: la pietra che in basso sembra riprodurre motivi di tronchi e intrecci di foglie salendo verso le guglie lascia spazio al gotico e questo al modernismo.

Le torri, alte più di cento metri, collegate da passaggi aerei, sono importanti anche dal punto di vista tecnico. Grazie infatti alla loro inclinazione, sono capaci di assorbire i pesi e le spinte senza dover ricorrere agli archi rampanti e ai contrafforti dell’architettura gotica.
Alle parti strutturali, continuamente modificate nei successivi progetti, è strettamente legata la ricchissima e fantasiosa decorazione naturalistica e simbolica, presente anche nei portali. Elementi architettonici e raffigurazioni possiedono tutti elementi simbolici, in un amplissimo disegno iconografico complessivo che concepiva la Sagrada Familia come tempio espiatorio.

sabato 4 febbraio 2012

SELINUNTE



Ubicata sulla costa meridionale della Sicilia, a pochi chilometri da Castelvetrano, Selinunte è una delle città greche di Sicilia note da più tempo nella sua organicità di centro urbano, anche se, come avveniva frequentemente, sono stati privilegiati gli splendidi resti dei templi, crollati in buona parte solo con il terribile terremoto del XVII secolo. La città si estendeva su due basse colline delimitate da due"fiumi", il Selino o Modione e il Cottone, al di là dei quali sorgono i Santuari extraurbani della collina orientale e della Malophòros. Il luogo fu scelto con oculatezza proprio allo sbocco dì due fertili pianure che ne costituivano la chora (territorio) di notevole interesse agricolo.

Selinunte fu fondata nel 648 a.C. (Diodoro Siculo) o meglio, secondo Tucidide, nel 628 a.C. da un gruppo di coloni di Megara Hyblea (sulla costa orientale dell'Isola, a Nord di Siracusa), guidati dall'ecista Pammilo che, con questo specifico incarico, era stato inviato da Megara Nisea, la città greca che nel 728 a.C. aveva fondato la Megara di Sicilia. Il nome deriva da una qualità di sedano selvatico (in greco Sèlinon) che cresce spontaneamente lungo le rive del torrente che delimita ad Ovest la collina su cui sorge la città (il Modione-Selino appunto). Le notizie relative al primo periodo di vita della città sono piuttosto scarse. Nel corso del VI secolo i coloni furono certamente impegnati nei contrasti con gli indigeni (Sicani ed Elimi), a cui danno era stato creato l'insediamento. Nonostante ciò la città ebbe un rapido sviluppo urbano egregiamente esemplificato se non altro dall'architettura templare. Nel V secolo la città fu coinvolta nelle alterne vicende del conflitto greco-punico, e se nel 480 a.C. rimase neutrale, fino a dare ospitalità a Giscone, figlio del generale cartaginese Amilcare caduto nella battaglia di Himera, nelle successive fasi dello scontro fu invece coinvolta in pieno, fino al saccheggio del 409 a.C. ed alla conseguente perdita della libertà. Sempre nel V secolo sì registra una non meglio precisala vittoria che i selinuntini ottennero con il favore delle principali divinità della città. Di queste parla una grande iscrizione rinvenuta nello opistòdomo del Tempio G, conservata nel Museo archeologico di Palermo. Negli anni successivi Selinunte assolse unicamente il ruolo di piazzaforte, ora dì Siracusa ora di Cartagine, fino al 306 a.C. quando fu stipulato l'ultimo trattato greco-cartaginese. L'area urbana si restrinse alla sola collina dell'Acropoli; sugli edifici monumentali furono realizzate povere case puniche e ad Est del Tempio C (il più importante dell'Acropoli) venne sistemata l’agorà (centro commerciale). Nel 250 a.C., infine, la popolazione residua fu trasferita a Lilibeo e la città fu abbandonata definitivamente.
La città si articola in quattro aree distinte originariamente collegate: l'acropoli, a Sud, con le pareti a strapiombo lambite dal mare; la bassa collina di Manuzza. a Nord, occupata dall'abitato vero e proprio, e due santuari extraurbani al di là dei "fiumi". L'acropoli, pur non essendo scavata che in minima parte, è il complesso monumentale più noto. E’ interamente cinta da un imponente sistema di fortificazione con mura a blocchi regolari intervallate da torri e da postierle (porte urbiche secondarie, di minori dimensioni). Questo sistema, impiantato fin dalla fondazione della città. fu ulteriormente fortificato all'inizio del V secolo e trova i suoi punti di forza nel complesso di Porta nord e all'angolo sud-est dove fu realizzato un poderoso bastione a gradini, che servì anche ad ampliare artificialmente lo spazio antistante al Tempio C.
La Porta nord è difesa da una delle più imponenti strutture militari della Sicilia antica. Fiancheggiata da due torri rettangolari è preceduta da un fossato e da un torrione semicircolare che impedisce la vista del vano della porta.
La sistemazione urbanistica dell'acropoli è regolare e si articola in una serie di strade est-ovest, che incrociano la grande plateia nord-sud. Il santuario vero e proprio, l'unico ad essere in buona parte esplorato, occupa il settore sud-est.
Acropoli di Selinunte
Al centro, al di là della strada est-ovest, è il Tempio C da cui provengono le tre metope, (Perseo e  Medusa, Eracle e i Cercopi, Quadriga del sole) ricomposte nella sala del Museo "A. Salinas" di Palermo. Il tempio (m 64 x 24), dedicato ad Apollo, dorico, periptero esastilo con diciassette colonne sui lati lunghi presentava l'adyton ed era privo di opistodomos.
Intorno a questo tempio sono altri edifici.
A Nord-Ovest sono i resti del Tempio D (forse di Atena), dorico, periptero, esastilo, con tredici colonne sui lati lunghi (m 56 x 24) databile dalla seconda metà del VI sec. a.C.; a Sud è il Mégaron, un sacello stretto e lungo (m 17,85 x 5,31), privo di peristasi, in cui va riconosciuto uno dei più antichi templi di Selinunte. A Sud-Est sono resti di alcuni tempietti. Da uno di questi (Y) potrebbero provenire le cosiddette piccole metope (Quadriga e Ratto di Europa) rinvenute lungo la cinta muraria e conservate oggi al "Salinas". Ai resti  dei tempietti si sovrapposero indiscriminatamente alcune povere case puniche del V sec. a.C. A Sud-Est è il grande portico ad "L" costruito sul terrazzamento artificiale di cui si è detto, mentre nell'area ad Est del Tempio C, in età ellenistica, si è sistemata l'agorà. All'angolo sud-est del santuario dell'acropoli, sono i poverissimi resti del Tempio O e del Tempio A, due peripteri dorici, databili nella prima metà del V secolo. Su quest'ultimo (di Poseidone? o dei Dioscuri?) si è sovrapposto un pavimento a mosaico del periodo punico, con la dea Tanit ed altri simboli della religione punica (un luogo di culto? o una abitazione?). Sulla bassa ed ampia collina di Manuzza, a Nord, si estendeva l'abitato vero e proprio. L'area era presumibilmente delimitata da una cinta muraria e le abitazioni, esplorate solo in parte e per saggi, sono piuttosto modeste. Anche qui la città è organizzala, fin dal VII sec. a.C., secondo uno schema urbano ad assi perpendicolari tra loro. La strada principale (plateia) è tuttavia orientata, diversamente dall'acropoli, in senso nord-ovest sud-est, per adeguarsi alla situazione topografica.  Nel IV sec. a.C. l'area dell'abitato viene quasi completamente abbandonata e le case puniche si sistemano sulla collina dell'acropoli al di sopra di preesistenti strutture. La crisi della città greca è evidente e presto Selinunte sarà abbandonata del tutto.
II santuario più famoso, ma anche il più importante dell'antica città è quello sulla collina orientale: di esso sono noti tre grandi templi che da sempre costituiscono un elemento caratteristico della campagna selinuntina.
Pianta dei templi
A Nord è il Tempio G, in cui, come abbiamo detto, va riconosciuto probabilmente il Tempio di Zeus. E' uno dei più grandi dell'antichità (m 113 x 54, con un'altezza ipotizzabile in m 30, di cui m 16,27 è la sola colonna). Sì tratta di uno pseudo-diptero,(ipetro?) di stile dorico, con otto colonne sui lati brevi e diciassette su quelli lunghi. La cella (naos), tripartita da due file di colonne, probabilmente a cielo aperto, presenta, in fondo alla navata centrale, un adyton.
Iniziato alla metà del VI sec. a.C., forse nel 530 a.C., la sua costruzione fu interrotta all'inizio del V sec. a.C., probabilmente in corrispondenza con il primo grande conflitto greco-punico (480 a.C.): di alcuni elementi dell'elevato già collocati non si è definita la lavorazione e la copertura era ben lungi dall'essere stata completata. I materiali da costruzione, peraltro, erano estratti dalle Cave di Cusa, a una decina di chilometri, presso Campobello di Mazara. In quest'area, abbandonata improvvisamente nel 480 a.C., sono visibili le varie fasi di lavorazione per l'estrazione dei rocchi delle colonne, alcuni già pronti per essere trasportati a Selinunte.
Dell'originario complesso di sculture che decoravano il tempio, è pervenuto solo un efficace busto di Gigante morente, esposto nella sala di Selinunte, mentre nell’opistòdomos è stata recuperata la grande iscrizione di cui si è detto. L'edificio non fu mai completato e l'attuale campo di rovine è il risultato degli effetti del terremoto che, nel XVII secolo, sconvolse tutta la Sicilia. Così come è, l'edificio è una preziosa memoria di Selinunte e come tale va preservato. A Sud sono due templi più recenti e di più modeste dimensioni: il Tempio F (di Atena o Dioniso?) ed il Tempio E (di Hera?) dal quale proviene l'importante ciclo scultoreo di "stile severo" conservato nel Museo di Palermo. Le quattro metope ricomposte raffigurano Eracle in lotta contro una Amazzone, le nozze tra Zeus ed Hera, Atteone sbranato dai cani davanti ad Artemide, Atena che atterra il gigante Encelado. Scolpite nella tenera calcarenite, vennero realizzate con la tecnica "acrolitica" consistente nel realizzare le parti dell'incarnato con un materiale più resistente (marmo). 
Il Tempio E, (se vuoi visitare virtualmente il tempio clicca quì), sottoposto nel 1956 ad una discutibile anastylosis (risollevamento), è un tempio dorico canonico (m 70 x 27) risalente al 460-450 a.C in cui sono stati adottati tutti gli accorgimenti che fanno del tempio greco un mirabile esempio di equilibrio e razionalità insieme. Il vicino Tempio F (m 61 x 24), da cui provengono le due mezze metope con scene di lotta di Dee contro giganti, è databile al 520 a.C. e documenta una fase di transizione tra arcaismo ed incipiente classicismo. E' uno pseudoperiptero con sei colonne sui lati brevi e quattordici su quelli lunghi. L'altro santuario si trova ad Ovest alla foce del Sélinon (Modione), in contrada Gággera, una collinetta sabbiosa dalla vegetazione esotica. Si tratta di un santuario ctonio (dedicato alle divinità degli inferi) dedicato alla dea Malophóros (portatrice della melagrana), che è una delle tante espressioni della dea madre mediterranea assimilata dai coloni greci con Demetra. Il santuario (m 60 x 50) è delimitato da un alto muro di témenos, racchiude all'interno il grande mégaron dedicato alla Malophóros rivolto ad Est e preceduto dal grande altare sacrificale intorno al quale furono rinvenuti numerosissimi ex voto (statuette della dea o dell'offerente). Il santuario ebbe una vita lunghissima dalla metà del VII sec. a.C. fino al periodo punico (III sec. a.C.) a riprova della persistenza dei riti funerari. A Nord del recinto della Malophóros è il santuario di Zeus Meilíchios, un analogo santuario ctonio di dimensioni  ben più modeste.

Ricostruzione delle tre aree della città di Selinunte